Roma, Li 14 marzo 2023
Oggetto: Newsletter Studio e-IUS Tax & Legal – ENBIC “Le ultime novità fiscali”
Spett.le Società/Associazione,
con la presente siamo lieti di sottoporre alla Vostra attenzione le ultime novità in materia fiscale.
NOVITÀ IN MATERIA DI WELFARE E LAVORO DIPENDENTE
- Ministero del Lavoro – Comunicazioni Obbligatorie, pubblicata in data 8 marzo 2023 la Nota relativa al IV trimestre 2022
Pubblicata in data 3 marzo 2023, sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, la Nota trimestrale relativa al IV trimestre 2022, tratta dal Sistema Informativo Statistico delle Comunicazioni Obbligatorie del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
La Nota descrive le attivazioni, le trasformazioni a tempo indeterminato e le cessazioni dei rapporti di lavoro dipendente e parasubordinato. Inoltre, vengono descritte le consistenze e le dinamiche tendenziali dei tirocini extracurriculari.
Nel quarto trimestre del 2022, le attivazioni dei contratti di lavoro al netto delle trasformazioni a Tempo Indeterminato sono risultate pari a 2 milioni 898 mila, in calo dello 0,7% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente (pari a -20 mila contratti), e hanno riguardato 2 milioni 38 mila lavoratori, con una diminuzione tendenziale del 5,4% (pari a -116 mila individui).
Considerando anche le trasformazioni a Tempo Indeterminato, pari a 255 mila, il numero complessivo di attivazioni di contratti di lavoro raggiunge 3 milioni 153 mila, sostanzialmente stabile rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. La dinamica tendenziale avviene per effetto di una crescita per la componente femminile (+2,1%) e di un analogo calo percentuale per quella maschile (-2,1). Anche nel Nord del Paese si registra un andamento divergente tra le componenti di genere: per le donne +0,5% e per gli uomini -3,7%; complessivamente risulta un calo nel Nord pari a -1,7%. Nel Mezzogiorno, invece, si assiste a una contrazione più decisa, pari a -5,3%, rilevata per entrambe le componenti di genere. Al contrario nel Centro si osserva una significativa crescita tendenziale, pari a +9,2%, registrata sia per gli uomini (+7,9%) che per le donne (+10,7%).
Considerando complessivamente i quattro trimestri del 2022, le attivazioni trimestrali comprensive delle trasformazioni a Tempo Indeterminato risultano in media pari a 3 milioni 365 mila, in crescita del 12,0% rispetto alla media trimestrale del 2021. L’incremento interessa in misura superiore le donne (+1,0%) rispetto agli uomini (+10,3%) e maggiormente il Centro (+15,6%) e il Nord del Paese (+14,3%) rispetto al Mezzogiorno (+6,4%).
Nel settore dei Servizi, che assorbe il 77,4% del totale attivazioni, si registra un aumento tendenziale pari al 2,0%, che coinvolge in misura maggiore le donne (+2,8%) rispetto agli uomini (+1,0%). Per gli altri settori economici si osserva una flessione delle attivazioni: le Costruzioni, che rappresentano il 6,1% del totale, mostrano la contrazione più marcata (-12,4%), mentre per l’Industria in senso stretto la riduzione risulta più contenuta (-3,3%); in Agricoltura il calo risulta pari a -6,0%. Le attivazioni dei contratti a Tempo Indeterminato comprensive di 255 mila trasformazioni (di cui 216 mila da Tempo Determinato e 39 mila da Apprendistato) determinano un complessivo flusso in ingresso verso il Tempo Indeterminato pari a 676 mila unità, un valore che risulta superiore rispetto alle 589 mila cessazioni a Tempo Indeterminato. Il flusso in entrata verso il Tempo Indeterminato mostra una riduzione tendenziale di 15 mila unità (-2,1%), spiegata dalla crescita delle trasformazioni (+15 mila) e dal calo delle attivazioni a Tempo Indeterminato (-30 mila).
Le attivazioni dei contratti a Tempo Determinato, pari a 1 milione 940 mila, restano pressoché stabili (risulta solo un lieve calo dello 0,1%, pari a circa 2 mila e 600 attivazioni in meno). Le attivazioni dei contratti di Apprendistato, pari a 95 mila, diminuiscono del 3,0% (-3 mila), mentre quelle relative ai contratti i Collaborazione, pari a 92 mila, mostrano un calo più moderato pari a -0,9%. Le attivazioni rientranti in altre tipologie contrattuali, pari a 350 mila e costituiti maggiormente dal lavoro intermittente, mostrano invece un aumento del 4,9% (pari a +16 mila). I contratti di Apprendistato registrano, invece, la diminuzione più intensa (-3,0%) e le Collaborazioni un calo moderato (-0,9%), mentre altre tipologie di contratto, rappresentate maggiormente dal lavoro intermittente aumentano del +4,9%.
Per quanto riguarda i lavoratori attivati (al netto delle trasformazioni), la riduzione osservata pari al 5,4% (-116 mila individui) interessa entrambe le componenti di genere, anche se riguarda in misura superiore gli uomini (-6,1%) rispetto alle donne (-4,6%). La diminuzione risulta più consistente per gli individui con età compresa tra 25 e 34 anni, per i quali si registra un calo dell’8,0% (-7,3% per gli uomini e -8,9% per le donne), e per i 35-44enni, con una flessione del 7,5% (-7,7% per la componente maschile e -7,3% per quella femminile). I lavoratori attivati con oltre 54 anni di età mostrano, invece, un incremento. Il numero di attivazioni pro-capite passa da 1,35 nel quarto trimestre del 2021 a 1,42 nel quarto trimestre del 2022.
Nel trimestre in esame si registrano 3 milioni 617 mila cessazioni di contratti di lavoro, con un incremento del 3,3%, pari a 117 mila rapporti cessati in più rispetto allo stesso trimestre del 2021. Al numero di cessazioni osservate nel trimestre si associano 2 milioni 647 mila lavoratori, con decremento di circa 14 mila individui (pari a -0,5%).
A fronte della crescita tendenziale dei rapporti cessati si osserva un lieve calo dei rapporti attivati al netto delle trasformazioni (-0,7%), mentre alla diminuzione dei lavoratori interessati da almeno una cessazione corrisponde un calo dei lavoratori attivati (-5,4%).
L’incremento delle cessazioni dei rapporti di lavoro interessa in misura superiore la componente femminile (+6,0%) rispetto a quella maschile (+1,3%) coinvolgendo principalmente il Centro (+12,3%) e in misura minore il Nord (+1,5%) per il contributo positivo delle donne a fronte di un decremento negli uomini. Di contro, nel Mezzogiorno si registra un lieve calo, riconducibile alla diminuzione dei rapporti cessati riscontrata nella componente maschile (-1,8%) a fronte di una variazione positiva in quella femminile (+2,4%)
I rapporti di lavoro giunti al termine mostrano una crescita tendenziale esclusivamente nel settore dei Servizi (+7,4%, +166 mila unità) in cui è concentrato il 66,8% delle cessazioni e nelle Costruzioni (+4,0%, +7 mila circa) grazie al contributo di entrambe le componenti di genere. Nell’Industria, a fronte dell’aumento nelle Costruzioni si osserva un calo nell’Industria in senso stretto (- 2,9%, pari a -8 mila circa) che risulta maggiore nella componente maschile (-3,8% a fronte di -0,7% di quella femminile) mentre prosegue il decremento delle cessazioni nel Settore Agricolo (-6,2%, pari a -49 mila).
Nel trimestre in esame le dinamiche tendenziali delle cessazioni registrano un incremento nella tipologia contrattuale Altro (+11,0%, pari a +39 mila cessazioni), in quella dei contratti a Tempo Determinato (+5,3%, pari a +124 mila cessazioni) che rappresentano il 68% del totale dei contratti, e in quelli di Collaborazione (+3,6%, pari a 3750 cessazioni). I rapporti cessati risultano, invece, in diminuzione nei contratti a Tempo Indeterminato (-7,2%, pari -46 mila), che rappresentano il 16,3% dei contratti cessati, così come nell’Apprendistato (-4,8%, pari a circa -3460 rapporti). Nel complesso delle tipologie contrattuali le variazioni tendenziali coinvolgono entrambe le tipologie di genere, con variazioni superiori nelle donne rispetto agli uomini.
Il confronto con il quarto trimestre 2021 mostra un incremento maggiore nel numero dei rapporti di lavoro che interessano i contratti più brevi, di durata inferiore a 30 giorni (+14,3%, pari a +146 mila), che rappresentano il 32,4% del totale dei rapporti cessati. Tra questi, i rapporti di brevissima durata, pari a un giorno, e quelli compresi tra 2 e 3 giorni, mostrano le variazioni più significative (rispettivamente +29,3% e +19,2%). Di contro, si osserva una variazione di segno negativo sia nella classe 31-90 giorni (-8,3%) che in quella di durata superiore ai 365 giorni (pari a -9,7%).
Le cause di cessazione del rapporto di lavoro registrano variazioni tendenziali di segno negativo con l’esclusione delle Cessazioni al termine (pari a +7,5%) che corrispondono al 71,6% delle cause di cessazione. In termini percentuali quelle maggiormente significative sono la Cessazione di attività (- 24,1%) e i Pensionamenti (-22,9%). Le Dimissioni, dopo un trend di crescita tendenziale, mostrano un decremento (-6,1%, pari a 34 mila rapporti cessati in meno rispetto al quarto trimestre del 2021), così come i Licenziamenti (-2,3%, pari a -4470).
Relativamente ai contratti di lavoro in somministrazione, nel quarto trimestre del 2022 si registrano 359 mila attivazioni e 396 mila cessazioni, in calo rispettivamente del 3,4% e del 2,5% rispetto allo stesso trimestre del 2021. Considerando la media dei quattro trimestri del 2022, il numero di attivazioni in somministrazione si attesta su 372 mila, +11,1% rispetto alla media del 2021 (pari a 335 mila), e si registrano 374 mila cessazioni, +15,2% rispetto alla media del 2021 (pari a 324 mila).
Nel quarto trimestre del 2022, le attivazioni dei tirocini extracurriculari sono risultate pari a 79 mila, in calo rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente (-13,9%, pari a -13 mila tirocini), in misura superiore per la componente maschile (-17,3% contro -10,7% per la componente femminile). Nelle regioni del Nord si osserva il più elevato numero di tirocini attivati, pari a 41 mila, corrispondente al 52,2% del totale nazionale, quota sostanzialmente stabile rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Le attivazioni in quest’area geografica risultano in calo tendenziale (-13,8%, pari a -7 mila tirocini); anche il Centro, che con 15 mila tirocini attivati costituisce il 18,7% del totale attivazioni (+0,3 punti percentuali rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente), presenta una riduzione, pari a -12,3%. Nel Mezzogiorno, infine, dove si osservano 23 mila attivazioni, pari al 29,1% del totale registrato nel Paese (-0,5 punti), si assiste a una contrazione pari a -15,2%. Il 77,7% dei tirocini attivati risulta concentrato nel settore dei Servizi, dove si osserva un calo tendenziale pari a -12,5%. L’Industria con 17 mila attivazioni rappresenta il 21,2% e registra una contrazione del 18,9%. L’Agricoltura, che assorbe l’1,1% del totale, riporta la riduzione percentuale meno intensa, pari a -8,5%.
I principali promotori di tirocini extracurriculari sono rappresentati dai Soggetti autorizzati alla intermediazione dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (30,1%) e dai Servizi per l’impiego (26,5%), mentre la maggior parte dei tirocini è stata avviata a favore di soggetti disoccupati o inoccupati (78,4%). I tirocini promossi a favore di persone fragili costituiscono il 14,5% del totale, con una prevalenza per quelli svolti da persone prese in carico dai servizi sociali e/o sanitari (7,6%) e soggetti svantaggiati (4,8%) rispetto ai tirocini promossi a favore di disabili (2,2%).
Il numero di tirocini cessati nel quarto trimestre 2022 risulta pari a 79 mila, la maggior parte dei quali, corrispondenti al 77,0% del totale, ha avuto una durata compresa tra 91 e 365 giorni.
- Fondazione Studi Consulenti del Lavoro: Il lavoro femminile tra soddisfazione, criticità e voglia di cambiamento.
Con il comunicato stampa del 7 marzo 2023, la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro illustra il fenomeno del dinamismo del lavoro femminile nel 2022 secondo l’indagine “Il lavoro femminile tra soddisfazione, criticità e voglia di cambiamento”.
L’indagine è stata realizzata su un campione di 1000 occupati sulla base dei dati forniti dall’Inps.
Il lavoro femminile è stato protagonista, nel corso dell’anno appena passato, di un inedito dinamismo che, lungi dal cancellare le criticità che da sempre caratterizzano l’occupazione delle donne nel nostro Paese, dà il segnale di qualche piccolo cambiamento.
La crescita nel numero delle assunzioni (+21,4% nei primi 9 mesi) è risultata molto più accentuata di quella maschile (+13,9%), raggiungendo la cifra record di 2 milioni 616 mila.
Al tempo stesso, la creazione di nuove opportunità occupazionali ha determinato anche una maggiore mobilità interna al mercato. Sono state più di 642 mila le donne che nel corso dei primi nove mesi del 2022 hanno lasciato volontariamente il proprio lavoro, per lo più a tempo indeterminato (54,8%). Un dato impressionante, se si considera che nel solo ultimo anno il fenomeno è aumentato del 29,1%, risultando molto più marcato rispetto agli uomini, tra i quali le dimissioni sono cresciute del 18,6%.
Il dinamismo dell’occupazione femminile riscontrato nel 2022 sembrerebbe destinato ad accentuarsi se, come emerge dall’indagine svolta da Fondazione Studi in collaborazione con SWG nel corso dell’anno su un campione di 1000 occupati, il 55,7% delle donne dichiara di voler cambiare lavoro: il 38,7%, pur volendolo, non ha ancora intrapreso azioni in tal senso; il 12,6% è attivamente alla ricerca di un nuovo lavoro; il 4,5% lo ha cambiato negli ultimi due anni.
È difficile individuare i tanti fattori alla base di un fenomeno nuovo (non solo per il nostro mercato del lavoro) e che vede per la prima volta le donne protagoniste più degli uomini. Queste partono da un livello di soddisfazione per la propria condizione occupazionale inferiore rispetto agli uomini. Pesano fattori oggettivi – la maggiore precarietà, i divari retributivi, il doppio ruolo – ma anche soggettivi, relativi alle attese che ognuna ripone rispetto al proprio lavoro e alla propria realizzazione professionale.
Da questo punto di vista, le donne non solo risultano mediamente meno soddisfatte rispetto agli uomini (dichiara un livello basso e molto basso di soddisfazione il 25% delle prime contro il 18,8% dei secondi), ma sembrano individuare fattori del tutto specifici, che hanno più a che fare con le prospettive di crescita (il 43,4% le reputa basse o molto basse con riferimento all’attuale lavoro) che con la retribuzione (elemento di insoddisfazione meno rilevante). Pesa poi il tema del contesto aziendale e dell’attenzione riposta verso le risorse: il welfare aziendale – da intendersi come l’insieme di prassi, benefit e strumenti in grado di valorizzare dipendenti e collaboratori – rappresenta un elemento “scarso”, rispetto al quale le donne, più degli uomini, lamentano forte insoddisfazione (49,4%).
Ma la voglia di cambiamento trova altre ragioni che vanno al di là della scarsa soddisfazione per il lavoro attuale. C’è una spinta al cambiamento che nasce dalla voglia di rimettersi in gioco, di trovare nuove strade che siano di stimolo al rinnovamento, personale prima ancora che professionale: a fronte di un 36,4% di donne che ha cambiato lavoro o lo sta cercando perché non trovava più soddisfacente la propria situazione, vi è un 34,6% che cerca un cambiamento a prescindere. Un fattore che, presumibilmente, ha trovato ulteriore spinta nella dinamicità del mercato nell’ultimo anno: il 20,6% afferma, infatti, che a spingere verso un nuovo lavoro è stata (o è) principalmente la creazione di nuove opportunità.
Nel mix di motivazioni che concorre alla scelta individuale di tante donne, è però importante segnalare come si è di fronte a una decisione che non nasce dall’esigenza o dalla paura (“solo” il 10,3% afferma di voler cambiare lavoro o averlo fatto per necessità e il 12,3% per paura di perdere il posto di lavoro) ma dal desiderio di migliorare la propria vita.
È indicativo che tra i fattori irrinunciabili del nuovo impiego, accanto al miglioramento retributivo, il 50,6% delle donne indichi il raggiungimento di un migliore equilibrio psicofisico, valore guida del cambiamento. A confronto, la sicurezza data da un lavoro stabile è considerata una condizione molto più rinunciabile (solo il 27,2% non accetterebbe un contratto diverso dal tempo indeterminato), messa sullo stesso piano della soddisfazione per i contenuti (24,1%) e delle prospettive di crescita professionale (24,1%).
Protagoniste del cambiamento, le donne sembrano interpretare forse più degli uomini le trasformazioni in atto nel lavoro, portando una visione più dinamica. In questa mobilità, due fattori acquisiscono peso crescente per le donne:
- l’orientamento alla crescita professionale. Le occupate ambiscono a vedere crescere le proprie competenze e funzioni, ma i contesti di lavoro raramente favoriscono progressioni in verticale, portando molte a cercare nuove opportunità di crescita cambiando lavoro;
- l’attenzione a quei fattori di benessere aziendale (dal clima di lavoro, alla flessibilità, alle politiche di welfare) che sono in grado di intercettare le loro esigenze e motivazioni.
- ANPAL, Comunicato stampa del 27 febbraio 2023: Fondo nuove competenze, decreto di rifinanziamento e riapertura termini
In concomitanza con l’approvazione parlamentare della legge di conversione del Milleproroghe, che ha esteso al 2023 la possibilità da parte del Fondo Nuove Competenze (FNC) di finanziare accordi di rimodulazione dell’orario di lavoro finalizzati alla realizzazione di percorsi formativi, l’ANPAL ha emanato il decreto di rifinanziamento del Fondo, per un ammontare pari a 180 milioni di euro.
In tal modo si apre una prima finestra per il finanziamento di tali intese nell’ambito dell’avviso pubblico ancora aperto. La somma proviene dai residui della precedente edizione del Fondo dovute a rinunce, minori rendicontazioni ovvero tagli in sede istruttoria. Sono stati pertanto riaperti i termini di presentazione delle domande da parte dei datori di lavoro, portando la data finale al 27 marzo 2023. Il nuovo termine è stato fissato considerando le tempistiche legate all’ammissibilità delle spese (a valere sulla programmazione 2014-20 del Fondo sociale europeo) e ai tempi di realizzazione dei progetti.
L’ANPAL comunica inoltre che l’intera somma iniziale di un miliardo di euro, a disposizione di questa edizione del FNC, è stata appena esaurita in sede di prenotazione con le domande finora presentate, ferme comunque restando le risultanze della fase istruttoria ancora in corso.
- INPS, Circolare n. 25 del 6 marzo 2023: pensione anticipata cd. opzione donna 2023 – chiarimenti
Con la circolare n. 25/2023 l’INPS fornisce precisazioni in tema di pensione anticipata c.d. opzione donna di cui all’articolo 1, comma 292, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, relativamente ai destinatari della norma, ai requisiti e alle condizioni richiesti, alla decorrenza del trattamento pensionistico e alle modalità di presentazione della domanda.
Destinatari: requisiti e condizioni La norma in esame si applica alle lavoratrici che, entro il 31 dicembre 2022,
abbiano maturato un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e un’età anagrafica di almeno 60 anni, e che si trovino in una delle condizioni indicate nella stessa norma.
Il requisito anagrafico di 60 anni è ridotto di un anno per figlio nel limite massimo di due anni. La riduzione massima di due anni si applica in favore della categoria di lavoratrici di cui alla lettera c) del comma 1-bis dell’articolo 16 del decreto-legge n. 4/2019, introdotto dalla norma in esame, anche in assenza di figli. Pertanto, le lavoratrici di cui alla lettera c) in argomento possono accedere alla pensione c.d. opzione donna, con 58 anni di età e 35 anni di contribuzione, maturati entro il 31 dicembre 2022.
Al predetto requisito anagrafico, richiesto per l’accesso al pensionamento in esame, non si applicano gli adeguamenti alla speranza di vita di cui all’articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
Caregivers Con riferimento alle lavoratrici che prestano assistenza a una persona con
handicap in situazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge n. 104/1992, si forniscono le seguenti precisazioni.
Il requisito dell’assistenza si considera soddisfatto in presenza di convivenza. Al riguardo, si richiama la circolare del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali del 18 febbraio 2010 dove vengono forniti chiarimenti sul concetto di convivenza ai fini del riconoscimento del diritto al congedo straordinario di cui all’articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (cfr. il messaggio n. 6512/2010). In coerenza con l’orientamento espresso con la menzionata circolare, ai fini dell’accertamento del requisito della convivenza, si ritiene condizione sufficiente la residenza nel medesimo stabile, allo stesso numero civico, anche se non necessariamente nello stesso interno (appartamento).
I sei mesi di assistenza alla persona con handicap in situazione di gravità devono intendersi continuativi.
Con riferimento allo status di persona con disabilità grave si precisa che lo stesso si acquisisce alla data dell’accertamento riportata nel verbale rilasciato ai sensi dell’articolo 4 della legge n. 104/1992, o in caso di sentenza o riconoscimento a seguito di omologa conseguente ad accertamento tecnico preventivo di cui all’articolo 445-bis c.p.c., dalla data della sentenza o dalla data del decreto di omologa, salvo che nel provvedimento non si faccia decorrere lo status di disabilità grave da una data anteriore.
Nel caso di assistenza di un parente o un affine entro il secondo grado è prevista l’ulteriore condizione che i genitori, il coniuge o l’unito civilmente della persona con handicap in situazione di gravità non possano prestare l’assistenza in quanto abbiano compiuto i settanta anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.
Per quanto concerne l’individuazione delle patologie invalidanti, in assenza di un’esplicita definizione di legge, si fa riferimento alle patologie a carattere permanente indicate dall’articolo 2, comma 1, lettera d), n. 1, n. 2 e n. 3, del decreto 21 luglio 2000, n. 278, emanato dal Ministro per la Solidarietà Sociale, di concerto con i Ministri della Sanità, del lavoro e della previdenza sociale e per le Pari opportunità, recante “Regolamento recante disposizioni di attuazione dell’articolo 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, concernente congedi per eventi e cause particolari”, che ha individuato le ipotesi in cui è possibile accordare il congedo per i gravi motivi di cui all’articolo 4, comma 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53.
Infine, l’espressione “mancanti” deve essere intesa non solo come situazione di assenza naturale e giuridica (celibato/nubilato o stato di figlio naturale non riconosciuto), ma deve ricomprendere anche ogni altra condizione a essa giuridicamente assimilabile, continuativa e debitamente certificata dall’Autorità giudiziaria o da altra pubblica Autorità, quale: divorzio, separazione legale o abbandono di minori, dichiarazione di assenza o di morte presunta dello scomparso (cfr. la circolare n. 155/2010).
Le lavoratrici, in possesso dei prescritti requisiti anagrafico e contributivo, possono accedere alla pensione anticipata c.d. opzione donna ove si trovino in almeno una delle seguenti condizioni:
- assistono, alla data di presentazione della domanda di pensione e da almeno sei mesi, il coniuge o la parte dell’unione civile o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, o un parente o un affine di secondo grado convivente qualora i genitori, il coniuge o l’unito civilmente della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i settanta anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti oppure siano deceduti o mancanti;
- hanno una riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle competenti Commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile, superiore o uguale al 74 per cento;
- sono lavoratrici dipendenti o licenziate da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale presso la struttura per la crisi d’impresa di cui all’articolo 1, comma 852, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;
Le condizioni sopra specificate devono sussistere alla data di presentazione della domanda di pensione e non devono essere oggetto di ulteriore verifica alla decorrenza del trattamento pensionistico.
Lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale
La norma in esame si applica alle lavoratrici dipendenti o licenziate da imprese per le quali risulti attivo alla data del 1° gennaio 2023, ovvero risulti attivato in data successiva, un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale presso la struttura per la crisi d’impresa di cui all’articolo 1, comma 852, della legge n. 296/2006.
In merito, si specifica che: • per le lavoratrici dipendenti è necessario che il tavolo di confronto per la
gestione della crisi aziendale risulti attivo al momento della presentazione della domanda di pensione;
- per le lavoratrici licenziate occorre che il licenziamento sia stato intimato nel periodo compreso tra la data di apertura e di chiusura del tavolo e che le stesse non abbiano ripreso attività di lavoro dipendente a tempo indeterminato successivamente al licenziamento.
In relazione alle singole istanze pervenute, l’Istituto provvederà a richiedere
alla struttura per la crisi d’impresa, istituita presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, i dati relativi alle imprese di riferimento, con particolare riguardo alle date di apertura e chiusura dei relativi tavoli di confronto, ai fini dell’accertamento della sussistenza della condizione per l’erogazione del trattamento pensionistico.
Decorrenza del trattamento pensionistico Alla pensione anticipata c.d. opzione donna si applicano le disposizioni in
materia di decorrenza previste dall’articolo 12, comma 2, del decreto-legge n. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122/2010 (c.d. finestra mobile).
Pertanto, le lavoratrici dipendenti e autonome, al perfezionamento dei requisiti anagrafico e contributivo richiesti dalla norma, conseguono la pensione decorsi:
- dodici mesi dalla data di maturazione dei previsti requisiti, nel caso in cui il trattamento pensionistico sia liquidato a carico delle forme di previdenza dei lavoratori dipendenti;
- diciotto mesi dalla data di maturazione dei previsti requisiti, nel caso in cui il trattamento sia liquidato a carico delle Gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi.
La decorrenza del trattamento pensionistico non può essere comunque anteriore al 1° febbraio 2023, per le lavoratrici dipendenti e autonome la cui pensione è liquidata a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive della medesima, e al 2 gennaio 2023, per le lavoratrici dipendenti la cui pensione è liquidata a carico delle forme esclusive della predetta assicurazione generale obbligatoria.
Presentazione della domanda di pensione Le lavoratrici, al ricorrere dei prescritti requisiti e condizioni, devono
presentare la domanda di pensionamento e allegare, ove richiesto, la relativa documentazione.
In caso di caregiving è necessario compilare un’autodichiarazione in cui afferma di assistere e di convivere da almeno sei mesi con un soggetto affetto da handicap grave, tra quelli indicati dalla legge e riportare i dati anagrafici della persona assistita, gli estremi del verbale rilasciato ai sensi dell’articolo 4 della legge n. 104/1992 dalla Commissione medica che ha riconosciuto l’handicap grave, nonché allegarne il relativo documento, ove non in possesso dell’Istituto.
La lavoratrice che assiste un parente o un affine di secondo grado convivente deve dichiarare che, al momento della presentazione della domanda per accedere alla pensione in esame, i genitori, il coniuge o l’unito civilmente della persona con disabilità alla quale è riconosciuto un handicap grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge n. 104/1992, non possano prestare assistenza in quanto si trovino in una delle descritte situazioni (compimento dei settant’anni d’età, patologie invalidanti, decesso, assenza).
- INPS, Circolare n. 27 del 10 marzo 2023: cd. pensione anticipata flessibile
Con la circolare n. 27/2023 l’INPS fornisce le istruzioni per l’applicazione dell’articolo 1, commi 283 e 284, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, che riconosce, in via sperimentale per il 2023, il diritto alla pensione anticipata flessibile al raggiungimento, entro il 31 dicembre 2023, di un’età anagrafica di almeno 62 anni e di un’anzianità contributiva minima di 41 anni.
Requisiti per l’accesso alla pensione anticipata flessibile Gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria (AGO) e alle forme
esclusive e sostitutive della medesima gestite dall’INPS, nonché alla Gestione separata, che perfezionano entro il 31 dicembre 2023 un’età anagrafica non inferiore a 62 anni e un’anzianità contributiva minima di 41 anni, possono conseguire il diritto alla “pensione anticipata flessibile”.
Ai fini del perfezionamento del requisito contributivo è valutabile la contribuzione a qualsiasi titolo versata o accreditata in favore dell’assicurato, fermo restando il contestuale perfezionamento del requisito di 35 anni di contribuzione al netto dei periodi di malattia, disoccupazione e/o prestazioni equivalenti, ove richiesto dalla gestione a carico della quale è liquidato il trattamento pensionistico.
Importo della pensione anticipata flessibile da porre in pagamento Il trattamento di pensione anticipata flessibile è riconosciuto per un valore
lordo mensile massimo non superiore a cinque volte il trattamento minimo previsto a legislazione vigente, per le mensilità di anticipo del pensionamento rispetto al momento in cui tale diritto maturerebbe a seguito del raggiungimento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico ai sensi dell’articolo 24, comma 6, del decreto-legge n. 201/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214/2011.
Al raggiungimento del requisito anagrafico previsto per la pensione di vecchiaia di cui all’articolo 24, comma 6, del decreto-legge n. 201/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214/2011, è posto in pagamento l’intero importo della pensione perequato nel tempo. Ciò si applica anche nelle ipotesi in cui la gestione previdenziale a carico della quale è stata liquidata la pensione anticipata flessibile prevede età pensionabili diverse rispetto a quella indicata all’articolo 24, comma 6, del citato decreto-legge n. 201/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214/2011.
Cumulo dei periodi assicurativi Il requisito contributivo richiesto per la pensione anticipata flessibile in
argomento può essere perfezionato, su domanda dell’interessato, anche cumulando, ai sensi del comma 2 dell’articolo 14.1 del decreto-legge n. 4/2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26/2019, tutti e per intero i periodi assicurativi presso due o più forme di assicurazione obbligatoria, gestite dall’INPS
I periodi assicurativi coincidenti devono essere considerati una sola volta ai fini del diritto e valorizzati tutti ai fini della misura del trattamento pensionistico. In caso di coincidenza dei periodi assicurativi, ai fini del diritto, vanno neutralizzati quelli presso la gestione nella quale risultino versati o accreditati il maggior numero di contributi.
La titolarità di una pensione diretta a carico di una delle forme di assicurazione obbligatoria, gestite dall’INPS, preclude l’esercizio della facoltà per accedere alla prestazione in argomento.
Le gestioni interessate, ciascuna per la parte di propria competenza, determinano il trattamento pensionistico pro quota in rapporto ai rispettivi periodi di iscrizione maturati, secondo le regole di calcolo previste da ciascun ordinamento e sulla base delle rispettive retribuzioni di riferimento.
Per la determinazione del sistema di calcolo, l’accertamento dell’anzianità contributiva maturata al 31 dicembre 1995 deve essere effettuato considerando l’anzianità contributiva complessivamente maturata nelle diverse gestioni interessate dal cumulo in argomento. Nel determinare l’anzianità contributiva posseduta dall’assicurato, ciascuna gestione tiene conto delle regole del proprio ordinamento vigenti alla data di presentazione della domanda di pensione.
Nel caso in cui tra le gestioni interessate al cumulo ve ne sia almeno una che preveda il requisito contributivo dei 35 anni al netto dei periodi di malattia, disoccupazione e/o prestazioni equivalenti, il predetto requisito deve essere verificato tenendo conto dell’anzianità contributiva complessivamente maturata nelle gestioni interessate al cumulo.
Lavoratori dipendenti da datori di lavoro diversi dalle p.a. e lavoratori autonomi
I lavoratori dipendenti da datori di lavoro diversi dalle pubbliche Amministrazioni e i lavoratori autonomi:
- che hanno maturato i prescritti requisiti entro il 31 dicembre 2022, conseguono il diritto alla prima decorrenza utile del trattamento pensionistico dal 1° aprile 2023;
- che maturano i prescritti requisiti a decorrere dal 1° gennaio 2023, conseguono il diritto alla prima decorrenza utile del trattamento pensionistico trascorsi tre mesi dalla maturazione dei requisiti (c.d. finestra).
Con riferimento ai lavoratori di cui al presente paragrafo, ove il trattamento pensionistico sia liquidato a carico di una gestione diversa da quella esclusiva dell’AGO, la prima decorrenza utile del predetto trattamento è fissata al primo giorno del mese successivo all’apertura della c.d. finestra.
Assegno straordinario e fondi di solidarietà. È possibile riconoscere l’assegno straordinario anche al perfezionamento, entro il 31 dicembre 2023, dei requisiti di accesso a pensione determinati in 62 anni di età anagrafica e 41 anni di anzianità contributiva.
La concessione degli assegni straordinari riferiti alla pensione anticipata in esame è subordinata alla presenza di accordi collettivi di livello aziendale o territoriale, sottoscritti con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, nei quali deve essere stabilito, ai fini del ricambio generazionale, il numero di lavoratori da assumere in sostituzione di coloro che accedono alla prestazione.
- Agenzia delle entrate, Principio di diritto n. 6 del 2023 – Regime speciale per lavoratori impatriati di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 – Rientro in Italia dopo la sospensione del rapporto associativo
Con il principio di diritto n. 6, pubblicato in data 24 febbraio 2023, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che la fruizione del regime speciale per i lavoratori impatriati è preclusa al professionista che, sulla base di un accordo, dopo aver trascorso due anni all’estero, al rientro in Italia presti la propria attività nello stesso studio in cui lavorava prima del trasferimento all’estero. In tal caso, come specificato dall’Agenzia, viene meno la “vis attrattiva” richiesta dalla norma, in quanto l’attività rappresenta una prosecuzione del rapporto associativo rimasto sospeso.
Come noto, l’articolo 16 del D.lgs. n. 147/2015 ha introdotto il “regime speciale per lavoratori impatriati”. La citata disposizione è stata oggetto di modifiche normative, operate dall’art. 5 del D.l. n. 34/2019 (c.d. decreto Crescita), convertito dalla L. n. 58/2019, in vigore dal 1° maggio 2019, che trovano applicazione «a partire dal periodo d’imposta in corso, ai soggetti che a decorrere dal 30 aprile 2019 trasferiscono la residenza in Italia ai sensi dell’articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e risultano beneficiari del regime previsto dall’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147».
Per fruire del regime speciale in commento, dunque, è necessario che il lavoratore:
- trasferisca la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 2 del TUIR;
- non sia stato residente in Italia nei due periodi d’imposta antecedenti al trasferimento e si impegni a risiedere in Italia per almeno 2 anni;
- svolga l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.
Inoltre, sono destinatari del beneficio fiscale in esame i cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extra UE con il quale risulti in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale che:
- siano in possesso di un titolo di laurea e abbiano svolto “continuativamente” un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più; ovvero
- abbiano svolto “continuativamente” un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.
L’agevolazione in esame è fruibile dai contribuenti per un quinquennio a decorrere dal periodo di imposta in cui trasferiscono la residenza fiscale in Italia, ai sensi dell’articolo 2 del TUIR, e per i quattro periodi di imposta successivi (cfr. articolo 16, comma 3, D.lgs. n. 147 del 2015).
Orbene, il regime agevolativo in commento è volto ad attrarre nel nostro Paese soggetti che vengano a svolgere un’attività lavorativa nel territorio italiano in virtù della minore tassazione del reddito ivi prodotto dal periodo d’imposta di trasferimento della residenza fiscale in Italia e per alcuni dei periodi d’imposta successivi.
Tuttavia, l’Agenzia ricorda che un lavoro assunto dal professionista al rientro in Italia che si ponga in “continuità” con quello precedente al trasferimento all’estero non è in linea con la “vis attrattiva” prevista dalla norma (come chiarito con le Circolari n. 17/E del 23 maggio 2017 e n. 33/E del 28 dicembre 2020).
Tale principio si applica anche nelle ipotesi in cui il “rientro” in Italia da parte di un professionista avvenga in esecuzione di rapporti contrattuali instaurati con una associazione professionale, in base ai quali il professionista, decorso il periodo di trasferimento, riprende a svolgere l’attività professionale presso la medesima struttura associativa.
In tale ipotesi, infatti, l’attività professionale svolta dal professionista al rientro in Italia si pone quale prosecuzione dell’attività professionale svolta prima del trasferimento all’estero. Pertanto, non si riscontra la vis attrattiva richiesta ai fini dell’applicazione del regime speciale di cui al citato articolo 16 del D.lgs. n. 147/2015.
- Corte di Giustizia UE – causa C-477/21, sentenza 2 marzo 2023: organizzazione dell’orario di lavoro, riposo giornaliero e riposo settimanale – art. 31, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE – Direttiva 2003/88/CE, artt. 3 e 5
Con la sentenza del 2 marzo 2023, relativa alla causa C-477/21, la Corte di Giustizia UE ha affermato che riposo settimanale e giornaliero, se contigui, vanno sommati, senza possibilità di assorbire l’uno nell’altro nel caso in cui il periodo di riposo settimanale sia immediatamente preceduto da quello giornaliero.
Nel dettaglio, la Corte di Giustizia si è pronunciata su una questione pregiudiziale sollevata dalla Corte di Miskolc (Ungheria) e relativa all’interpretazione degli artt. 3 e 5 della Direttiva 2003/88/CE sull’organizzazione dell’orario di lavoro. Quanto al caso concreto, un impiegato della società ferroviaria nazionale ungherese aveva impugnato la decisione del suo datore di lavoro di non concedere un periodo di riposo giornaliero di almeno undici ore consecutive (di cui, in forza della citata Direttiva, il lavoratore deve beneficiare nel corso di ogni periodo di 24 ore) quando tale periodo sia contiguo ad un periodo di riposo settimanale o ad un periodo di ferie.
Dal canto suo, la Società affermava che il dipendente non fosse affatto danneggiato da tale decisione, poiché il contratto collettivo applicato nel caso di specie garantiva un periodo di riposo settimanale minimo nettamente superiore (almeno 42 ore) rispetto a quello richiesto dalla direttiva (35 ore).
Nel rinviare alla CGUE, la Corte ungherese chiedeva se, in forza della Direttiva citata, un periodo di riposo giornaliero (art. 3) concesso in modo da risultare contiguo a un periodo di riposo settimanale (art. 5) possa essere considerato come parte integrante di quest’ultimo.
Nell’esaminare la questione, la Corte di Giustizia rileva anzitutto che i periodi di riposo giornaliero e settimanale costituiscono due diritti autonomi, che perseguono obiettivi diversi (punto 38 della sentenza). Nello specifico:
- Il riposo giornaliero permette al lavoratore di sottrarsi al suo ambiente di lavoro per un determinato numero di ore, che non solo devono essere consecutive, ma anche seguire direttamente un periodo di lavoro;
- il riposo settimanale permette il riposo del lavoratore nell’arco di ogni periodo di sette giorni;
Di conseguenza, occorre garantire ai lavoratori il godimento effettivo di ciascuno di tali diritti.
Dunque, un’interpretazione del giudice nazionale secondo cui il riposo giornaliero sia parte del riposo settimanale equivarrebbe a svuotare del suo contenuto il diritto al riposo giornaliero di cui all’articolo 3 della Direttiva, privando il lavoratore dell’effettivo godimento del periodo di riposo giornaliero previsto da tale disposizione, quando egli beneficia del suo diritto al riposo settimanale.
A tal riguardo, la Corte chiarisce che l’articolo 5 della Direttiva 2003/88/CE non si limita a fissare globalmente un periodo minimo a titolo del diritto al riposo settimanale, bensì precisa che a tale periodo si aggiunge quello che deve essere riconosciuto a titolo del diritto al riposo giornaliero, sottolineando così il carattere autonomo di questi due diritti.
Ciò conferma che il diritto al riposo settimanale non è destinato a ricomprendere, se del caso, il periodo corrispondente al diritto al riposo giornaliero, ma deve essere riconosciuto in aggiunta a quest’ultimo diritto.
Infine, e in conseguenza di quanto affermato, la CGUE rileva che le disposizioni più favorevoli previste dalla normativa ungherese per la durata minima del riposo settimanale (42 ore anziché 35) non possono privare il lavoratore di altri diritti che gli sono conferiti da tale direttiva, e in particolare del diritto al riposo giornaliero (punto 50).
Quindi, al fine di garantire ai lavoratori il godimento effettivo del diritto al riposo giornaliero previsto dall’art. 3 della Direttiva (nonché dall’art. 31, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE), quest’ultimo deve essere concesso indipendentemente dalla durata del riposo settimanale previsto dalla normativa nazionale applicabile.
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Nel restare a Vs. disposizione per eventuali approfondimenti e/o chiarimenti, porgiamo
Cordiali saluti,
ENBIC – Studio e-IUS Tax & Legal